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Casa Naturale – E’ in edicola e online il numero di maggio – giugno 2024

di Maria Chiara Voci

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L’EDITORIALE

Case green: questione di prospettiva

L’approvazione definitiva della Direttiva Europea, benché segni uno spartiacque importante nel mondo tecnico della progettazione e del costruire, continua a non essere compresa dalla cultura e dall’opinione pubblica di base. Anche da parte di media seri e colleghi autorevoli e in genere molto equidistanti e informati, abbiamo assistito a una levata di scudi a difesa (anche involontaria) della posizione del Governo che (unico Paese insieme all’Ungheria) ha votato contro il via libera all’EPBD 4 durante la riunione dell’Ecofin lo scorso 12 aprile. Il motivo: chi mette i soldi? In Italia, ci sono ben altre urgenze (a partire da quella della sanità). Il dibattito, così posto, è sterile e reca danno alla collettività. Non si tratta di assecondare sperperi di denaro sull’onda lunga delle speculazioni del Superbonus (e di altri bonus, come quello “facciate”, caduti nel dimenticatoio del 110 per cento). Nè di voler assecondare le richieste della casta dei costruttori, su cui al contrario grava la responsabilità di imparare come sia possibile fare edilizia in modo diverso, riducendo gli impatti e con processi di industrializzazione. Di fatto, sarebbero loro i primi a doversi rimboccare le maniche.

Credere nella possibilità di creare luoghi urbani e case più efficienti, ma anche più sicure (per esempio, in funzione antisismica), salubri e rigenerative significa mettere tutti i cittadini nella condizione di non subire passivamente i colpi inferti da calamità naturali. Significa ridurre gli impatti sull’ambiente e sul nostro “stare bene”. Significa dare un taglio netto alle spese per la sanità. Si, proprio per quella sanità che costa tanto sui conti pubblici. Perché un edificio sano (correttamente areato, illuminato e senza condizioni di inquinamento acustico) è il presupposto per fare prevenzione e ridurre lo sviluppo di tante malattie. Allora ecco che la prospettiva cambia. Tolto il fatto che, se si leggono bene i testi, si scopre che le esclusioni per tutelare il patrimonio storico della nostra Italia sono già garantite dalla direttiva stessa, resta il fatto che è sbagliato abbandonare il campo senza averci provato. E se il tempo sarà tiranno e non raggiungeremo tutti gli obiettivi imposti al nostro patrimonio esistente, avremo speso comunque bene i nostri sforzi per creare un nuovo consenso intorno a una delle sfide più importanti che la necessità di autotutela della nostra specie ci sta ponendo davanti.

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