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Arte contemporanea e ambiente: un legame profondo

di Sara Perro

Arte contemporanea e ambiente: un legame profondo

Che legame c’è tra arte contemporanea e ambiente, ecologia, natura? A un primo sguardo, da spettatori distratti e non particolarmente esperti, parrebbe nessuno. L’universo dei collezionisti e dei galleristi, delle fiere internazionali e degli artisti-star è spesso percepito come un empireo distante e anche piuttosto “sintetico”, portatore di un’estetica a volte respingente e poco inclusiva. Eppure, anche se si tende a dimenticarlo, l’arte contemporanea ha avuto un ruolo pionieristico nella formazione di una coscienza ambientalista del mondo della cultura. Un nome su tutti: Joseph Beuys, l’artista sciamano che fu tra i fondatori del movimento Verde in Germania e che ammoniva circa la necessità di «allineare la nostra intelligenza all’intelligenza della natura». Pochi anni prima di morire, in occasione dell’edizione 1982 della grande fiera internazionale documenta a Kassel, Beuys diede vita a una visionaria opera collettiva, piantando 7mila querce: l’inizio di un bosco e soprattutto un segnale dirompente per l’arte contemporanea, chiamata a ripensare il suo rapporto con lo spazio e l’ambiente naturale e a soppesare il suo potere trasformativo.

Arte contemporanea e ambiente: un legame profondo
Natura “geometrizzata”, ma pur sempre in armonia con l’essenza del luogo, è quella interpretata dall’archistar giapponese Kengo Kuma, che a maggio ha inaugurato una nuova installazione per Arte Sella. Si intitola “Kodama”, cioè “lo spirito dell’albero” ed è una sfera spigolosa, composta da elementi in larice massiccio locale incastrati come in un grande rompicapo giapponese. Come in tutti i lavori di Kuma, una sagoma complessa viene scomposta, “particellizzata”, in unità costitutive, esaltando l’alternanza di luci e ombre e dando il posto che merita a un elemento fondamentale per la cultura Zen: il Vuoto. L’opera, sviluppata in sinergia con il Politecnico di Milano, d3wood e l’azienda Ri-Legno, segna la seconda tappa dell’avvicinamento di Arte Sella al mondo dell’architettura, avviato nel 2017 con Atsushi Kitagawara e che proseguirà nel 2018 con il maestro italiano Michele De Lucchi.

 

Joseph Beuys morì nel 1986 e non è un caso che quello sia anche l’anno di fondazione di Arte Sella, il primo e più importante parco italiano di arte nella natura, sorto nel cuore della Val di Sella, in Trentino. Sono diversi gli esempi di parchi artistici in Italia: giardini privati o spazi pubblici immersi nel verde, dove sono state create opere “site specific”, grandi installazioni di Land Art o più semplicemente percorsi espositivi all’aperto. Sono però rari i casi in cui a monte ci sia una teorizzazione così rigorosa e coerente come quella di Arte Sella. «Il nostro progetto si ascrive al movimento Art in Nature, un’evoluzione in chiave più prettamente ecologica della Land Art – spiega il direttore artistico Emanuele Montibeller È stato il primo luogo in Italia dove si è cominciato a ragionare in questi termini e uno dei primi in Europa». Le basi teoriche sono state gettate dal critico Vittorio Fagone (scomparso quest’anno) durante la Biennale di Venezia del 1986. Si proponeva, allora, un superamento dei segni di dominio sul paesaggio tipici della Land Art degli anni Sessanta, per andare verso una nuova dialettica con l’ambiente naturale. In poche parole, si chiedeva agli artisti di mettere un po’ da parte il proprio ego e di creare in accordo con le leggi della natura. «La componente ecologica diventa così fondamentale – continua Montibeller – Da un punto di vista pratico, la caratteristica saliente è che i materiali usati per le opere sono tutti naturali, il che significa che si degradano dopo un po’ di tempo. La maggior parte delle nostre installazioni hanno perciò un arco di vita di una decina d’anni, poi spariscono, o meglio, tornano alla natura».

Gli artisti lo sanno e lo accettano; la dimensione temporale, la transitorietà diviene parte e condizione stessa dell’opera. Ed è facile accorgersene dando un rapido sguardo alla lista delle creazioni oggi visitabili nel parco, dove negli anni sono passati circa trecento artisti. Le più antiche risalgono al massimo ai primi anni 2000, come la “Cattedrale Vegetale” di Giuliano Mauri. Altre opere più recenti, come l’ormai classico “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto, tracciato nel 2017 in una grande radura, o il suggestivo “Attraversare l’anima” di Will Beckers, un tunnel di rami realizzato nel 2015, tra qualche anno saranno state probabilmente riassorbite dall’ambiente in cui sono nate. «Ma l’importante è la qualità, il processo, non il possesso dell’oggetto», ribadisce Montibeller, riconducendo all’arte quello che, del resto, è un concetto cardine del moderno ambientalismo, dalla green economy alla condivisione delle risorse.«Le installazioni nascono, vivono e muoiono nel luogo. Non sono semplicemente “site specific”, sono fatte “con” il luogo e non “contro” di esso. Perché – conclude – il patrimonio più grande che possiamo lasciare alle generazioni future è lo spazio».

di Giorgia Marino

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